Prologo: del quieto vivere, dell’ecosistema terra/uomo e di un scomodo, nuovo inquilino.

Prologo: del quieto vivere, dell’ecosistema terra/uomo e di un scomodo, nuovo inquilino.

Ed eccomi qui, in questa che è stata oasi di pace per un po’ di tempo, poi l’incantesimo si è rotto come in ogni favola che si rispetti. E’ l’evoluzione dell’uomo o presunto tale, che deve cambiare, muoversi, evolvere non sempre; gli errori si ripetono.

Da dove scrivo, nel mio vissuto sono successi alcuni eventi spiacevoli, ed ero arrivato al limite della sopportazione. Ed è stato un bene decidere di andare dove c’era più calma, dove poter fare nuove cose o vecchie cos , ma in maniera diversa; evoluzione, appunto.

La spinta per cose eclatanti e’ avvenuta anche per merito di questo avvenimento.

Che poi sarebbero avvenute lo stesso, ma senza la consapevolezza del saperlo fare in quel modo.

Cose di cui mi dispiaccio, perché per fare quelle cose ho tolto radici che erano ben piantate, profonde.

Ma radici buone in un terreno che ormai è arido alle richieste delle stesse, implica un cambiamento; o il terreno cambia, viene fertilizzato nuovamente, o le radici devono essere trapiantate in un altro tipo di terreno, probabilmente a decine di km di distanza. E da qui, magari, le stesse radici prosperano.
Magari , quel terreno che è stato depauperato di elementi delle radici tolte, ricomincia ad essere accogliente per un nuovo tipo di pianta.

L’assioma che vado a finire, torna con la memoria alla terra, alla cura,a come gli umani a volte dimentichino le loro radici, le loro origini, diventando arditi al cambiamento, il quale è il concime per ogni rapporto umano rispetto alla sua storia.

Le piante, come gli uomini, hanno bisogno di essere abbeverate, concimate con l’humus che esse stesse, in comunità, producono

Perché allora l’uomo non impara dalla sua storia, dal suo humus, per crescere rigoglioso, invece che incancrenirsi, farsi la lotta per più terreno, causando scompenso nell’ecosistema, comportandosi come piante infestanti che tolgono all’ambiente risorse come aria, acqua, spazio, cedendo allo stesso sistema praticamente nulla.

Personalmente penso si debba essere empatici con il proprio ecosistema umano che ci circonda, anche se non è così semplice.

La situazione personale influenza drasticamente il rapporto con si ha con gli altri esseri umani e loro, dominati da secoli di evoluzione darwiniana, cercano di isolare e espellere chi non conosce e d è diverso.

Quello stesso sistema poi, cerca di reintegrarti e sistemarti nel miglior modo possibile. Una dicotomia stressante, direi. La mia soluzione è quella di cercare un sottobosco umido e carico di humus, con una diversità biologica che risponda alle proprie necessità.

L’umanità soffre la presenza scomoda di un virus che ha spodestato il fragile sistema capitalistico che ha fatto da humus ad una biodiversità che non aveva bisogno di un eccessivo accumulo di cose inutili e superflue, intricando i rami più alti e non facendo più filtrare il sole alla base, facendola marcire.

Sopravvivranno le piante che più hanno messo radici, che hanno sviluppato filtri per espellere sostanze tossiche da tempo immesse nel terreno da altre piante, che non avevano senso di trovarsi li.
Non esistono antidoti per quello che sta succedendo, non esistono vaccini per evitare che accadano cose peggiori.

Ma noi non sappiamo quale sia realmente il significato di peggio. Possiamo solo augurarci che non tocchi a noi, di essere tagliati fuori dalla filiera del candido benessere che ci ha attorniato fino ad oggi. Hanno pompato nel nostro humus umano sostanze psichedeliche, facendoci apparire le fronde malate e spinose di rovi come necessari pilastri per poggiare le nostre foglie. Incautamente ce le abbiamo appoggiate e siamo rimasti invischiati in un intrico pericoloso che sta togliendo ossigeno alle nostre fragili propaggini. Un intrico ancor più pericoloso perché non possiamo strapparlo, pena dolorosi risvolti.
Dobbiamo avere pazienza e sperare che mani sapienti ci tolga di dosso questo rovo che noi stesso abbiamo invitato ad avvinghiarsi ai nostri tronchi. Non eravamo ignari, lo sapevamo, ma abbiamo accettato lo stesso di farci invischiare in questo problema.

Capiremo di esserne fuori solo quando ci spoglieremo di orpelli inutili e superflui, questa situazione è la genesi di un cambiamento che solo pochi riusciranno a coglierne l’etereo significato. Etereo, primordiale, essenziale.

Un delicato messaggio che va cullato, cresciuto, come nuovo seme piantato in un terreno, abbeverato. Con parole lo possiamo incitare, ma solo con fatti concreti lo possiamo realmente far germogliare. Pazienza e nuovi modi, la soluzione per farlo fiorire.

Pazienza. Una parola che l’uomo post moderno, non ne conosce più il significato.

Der Kasimir (c) 2020